4 Luglio 1970 – La Rivolta di Reggio Calabria e le Barricate della Memoria – Seconda Parte

Considerazione

Su quanto visto e letto in occasione della ricorrenza e della memoria della Rivolta di Reggio Calabria, che a distanza di tanto tempo, al di là delle belle parole, non ha bisogno di foto o luoghi comuni, ma solo di serie riflessioni, alcune verità e un’ampia trattazione, sia per chi l’ha vissuta, sia per le nuove generazioni.

Allora, come si fa a uscire dal labirinto dei vari fatti della rivolta?
Ci vuole il filo della memoria e della verità dei fatti; bisogna dipanare i diversi intrighi e uscire dallo spazio disorientante usando il filo della conoscenza, che funge da forma mentale.

Certo, i fili sono tanti, e tra i molti ci sono anche quelli che tessono le Parche, quello che costituisce la trama di un racconto, poi il filo dei fatti, e quello del ragionamento.
Il nostro filo è quello del 14 luglio, che dobbiamo rincorrere qua e là, per ritrovare le tracce di quella linea sottile — per alcuni — e lunga corda — per altri — che sfugge da tutte le parti.

Perché tutto questo?
Per guardare con più attenzione gli uomini intorno a noi: non è tanto un modo di informarsi, ma l’unico varco per sentire un momento di vicinanza, per mettere in crisi — anche solo per qualche minuto — la solitudine in cui siamo caduti.
Per rimanere fedeli al reale e non cercare sempre il palcoscenico per la recitazione.

Sicuramente, sciogliere tutti i nodi irrisolti è impossibile, ma anche lo studio della storia ha i suoi tempi, oltre che una funzione ben precisa: impedire il “furto della memoria”.

Ecco il bivio:
da una parte, l’attenzione al mondo che ci circonda;
dall’altra, la deriva opinionistica in cui tutti cinguettano su tutto, in una babele di parole che girano a vuoto.

“Un’idea morta — scrive G. Ravasi — produce più faziosità di un’idea viva; anzi, soltanto quella debole ne produce. Poiché gli stupidi, come i corvi, sentono solo cose deboli.”

Abbiamo tratto questa considerazione — aspra ma vera — da L. Sciascia, soprattutto ora che abbiamo fatto esperienza del fanatismo politico e sociale.
Come in molti c’è un’attrazione per tutto ciò che è fake news o approssimazione, così esistono pensieri “marci” che ispirano emozioni, passioni, esaltazioni folli.

Il radicalismo — ideologico, religioso o politico — si abbevera a teorie morte, oppure a luoghi comuni scambiati per verità assolute, che invece sono solo isterie mentali.
Come corvi, molti si affollano su queste carogne ideologiche, nutrendosi di falsità, di corruzione, divenendo essi stessi morte e sorgente di morte.

Vale sempre il triste monito divino proclamato dal profeta Geremia, che può valere anche per il rigetto della verità autentica e pura:

“Hanno abbandonato me, sorgente d’acqua viva, per scavarsi cisterne screpolate che non possono trattenere l’acqua.” (Geremia 2,13)

E il grande drammaturgo J. C. F. Schiller, nella sua tragedia romantica La pulzella d’Orléans, amaramente concludeva:

“Contro la stupidità, gli dèi stessi lottano invano.”

Nota

  1. Articolo di Franco Arminio: “Guardiamo il mondo per stupirci”, pubblicato su la Repubblica, 14 luglio 2024.
  2. Articolo di Gianfranco Ravasi: #Corvi, pubblicato su Il Sole 24 Ore – Domenica, 15 luglio 2024.

Io devo pormi il problema

Perché molti confondono, cavalcano o strumentalizzano la questione della rivolta di Reggio, che appartiene a tutte le generazioni e all’intero Paese.
È esplosa come esito di anni di umiliazioni, per colpa di politici distratti, di poco spessore, e per la certezza di un primo tradimento — avvenuto durante una cena nel ristorante La Vigna dei Cardinali.

Chi ha vissuto quegli anni, tra speranze e delusioni, non li dimenticherà facilmente.
La storia non ha ancora pronunciato una parola definitiva, e resta ancora difficile “capire” davvero cosa sia stata quella rivolta per il capoluogo.
Fu una guerra senza vincitori, perché a Reggio hanno perso tutti: la democrazia, la politica, le giovani generazioni — invecchiate all’improvviso, come se quegli anni non fossero mai passati. Lo scrive bene l’amico Calabrò.

L’orologio dei “fatti di RC” non può riportare indietro la storia, ma può almeno chiarire le parti ancora oscure o raccontarle da un punto di vista sociologico, poiché si manifestarono esasperazione, frustrazione, ribellione: stati d’animo diffusi a tutti i livelli, senza distinzioni di classe.

Perché allora la “Grande Coalizione” orchestrò una mistificazione delle vere ragioni della protesta?
Una mistificazione che capovolse le posizioni: gli scippatori diventarono saggi civili e regionalisti responsabili; gli scippati, invece, furono dipinti come espressione non della rabbia legittima di chi veniva escluso, ma del più abietto e ottuso campanilismo, di sub-cultura incline alla violenza e all’arretratezza civile.

Ancora oggi la mistificazione continua (vedi la questione dell’Aeroporto di RC), perché è più comoda e non richiede lo sforzo di approfondire le motivazioni, come giustamente rileva il reggino P. Amato.

Le immagini di quei giorni, caotici ma anche densi di valori condivisi, sono impresse in modo indelebile nella memoria collettiva — ma solo di chi ha vissuto quella realtà. Certamente non degli “altri”.

In questa altalena di “aperture” e “chiusure”, si gioca il presente della città.
Come sa bene il fronte non “dormiente” di molti reggini.
Al di là della retorica, questa attuale realtà politica non sembra avere una strategia vincente.

Questa volta, ne sono certo, sono i reggini ad avere gli orologi, e “loro” (chi?) il tempo.

Quindi, dimenticatevi perché siete qui e non allora;
ma ricordatevi perché voi ci siate oggi — e domani.

Ora proviamo, come fa l’amico Nino Nicolò con “Reggio non deve morire”, a rilanciare con un grande esame di coscienza collettiva:
ribaltiamo i giorni passati, quella giusta esperienza, e proviamo a costruire un ragionamento nuovo, che metta al centro la quotidianità di tutte quelle persone perbene, che ogni giorno, oltre a fare i conti con una vita difficile, devono sopportare l’ingerenza di associazioni, pseudo-studi, gruppi politici vari, che esercitano un controllo costante fra quei palazzi dirimpettai.

Ricordiamoci di chi non c’è mai stato o guardava dalla finestra con il binocolo, e oggi cerca visibilità.

Questa è la domanda che deve risuonare dentro di noi e accompagnarci nei giorni a venire.

Quel senso di sconfitta definitiva è stato accettato, negli anni, da gran parte della popolazione e da alcuni politici.
Occorre fare i conti con l’ipocrisia — passata e presente — con il fallimento di tante coalizioni e di azioni estemporanee mai sistematizzate.

Serve un atteggiamento resistente e ostinato, che, fuori dai proclami e dalla continua esigenza di visibilità, lavori per aggiungere una pietra e costruire una visione di riscatto e di libertà.

Ecco, questo triste anniversario potrebbe — anzi, deve — essere l’occasione per una reale rinascita.

Altrimenti… andate al mare.

Una lettera: un susseguirsi di cadute

Prima la Rivolta (con il saggio Generazione manipolata, cerco di colmare alcune lacune, attraverso i ricordi di chi quegli eventi li ha vissuti dall’interno e tramite la ricerca storica), poi l’Aeroporto, e infine la Reggina Calcio.

Tutto questo perché gli “altri” hanno scelto i cantastorie,
e molti reggini sono rimasti inermi, a subire passivamente,
continuando imperterriti, senza comprendere — né voler comprendere — il perché.

La loro vera natura e complessità sono celate sotto strati di mistero, ambiguità e incertezza.

Nel tentativo di chiarire e risolvere il “problema Reggio”, bisogna accettare che, nonostante le migliori intenzioni e capacità analitiche, forse non riusciremo mai a sondarne del tutto le profondità, né a comprenderne completamente l’impatto sull’esperienza umana.

Ma se riteniamo comunque utile e necessario “far saltare il tappo”, dare libero sfogo agli istinti, essere sinceri con noi stessi — anche a costo di non piacerci quando ci specchiamo —
allora quella generazione è sopita per una giusta causa:
consentire ai reggini di essere ciò che sono. Nel bene e nel male.

Non è un bello spettacolo, va detto.
Ma è una rappresentazione più realistica della goffaggine dei palazzi dirimpettai.

Dobbiamo pretendere la verità su noi stessi.
Non tanto sullo Stato o sui palazzi del potere, ma su noi stessi, sì.

In altri termini, nella lotta all’indifferenza, all’ambiguità e alla superficialità, l’obiettivo non è negare la realtà dell’altro o dell’avversario,
ma trovare un cammino verso quel particolare tipo di speranza che Bernanos ha descritto così:

“La più nobile manifestazione della speranza è il superamento della disperazione.”

Sperare è un rischio.
Richiede coraggio, reazione, impegno.
Ma è solo per questa via che si ritrova il senso smarrito della vita,
e si fa tacere l’urlo della disperazione
che è segno di perdita.

Certo, questo cammino di ripresa è spesso arduo,
ma si incontra una nuova aurora.

Perciò, mi chiedo — e vi chiedo — cosa bisogna fare, di fattivo, per far risorgere il reggino,
considerato che, prima o poi, gli argini saltano.
La natura non è contenibile.

Il vassallaggio della classe dirigente reggina a poteri estranei agli interessi reali del territorio completa il quadro.

Siamo attorniati da una folla di inadeguati e invidiosi, anche nei semplici “Mi piace”.
Ma soprattutto: non permettiamo più che si raccontino inesattezze e banalità da parte di quei “cucitori di canti altrui”,
che oggi stanno da una parte, e domani dall’altra.

Ma nulla accade.

Il risorgere della città non s’ha da fare.
È come un coup de foudre — un colpo di fulmine — che balena, ma non deflagra.

Un arrivederci.
E un “non so quando ci rivedremo.”

Nota finale:
Coup de foudre = colpo di fulmine
– Sintesi di articoli di Michele Serra (La grande mutanda italiana, Il Venerdì di Repubblica, 21 luglio 2023) e altri: Franco Calabrò, Santo Strati, Bruno Tucci, Pasquale Amato – Calabria Live Speciale: Le lacrime di Reggio, 14 luglio 2023.